01/12/17

OCCORRE UN "DIRITTO DISEGUALE" PER LE DONNE

L'articolo, di cui di seguito pubblichiamo stralci, è utile per contrastare una posizione, presente da destra nel campo Istituzionale, ma anche da sinistra in alcuni settori del movimento delle donne, sulla battaglia per l'uguaglianza delle donne. 

La questione dell'uguaglianza è chiaramente strumentale da parte della borghesia che via via utilizza sempre più il problema della disparità della condizione femminile rispetto a quella degli uomini (che chiaramente è vera) per affermare una "parità" nel peggio, vedi nelle condizioni di lavoro più sfruttate, sulla questione dell'età pensionabile, ecc.; quindi il governo, i padroni non solo non danno più diritti alle donne, ma tolgono quelli esistenti, di tutela rispetto ad una condizione oggettivamente diseguale - che continua fortemente ad esserci. 
La condizione generale di disparità resta eccome, i pochi diritti "diseguali" invece no!

In alcuni settori del movimento femminista, soprattutto di area riformista, la questione della battaglia per l'uguaglianza viene posta in senso di più diritti per le donne, ma senza una critica e lotta di classe rischia di scadere, in questo sistema capitalista, negli stessi effetti dell'azione della borghesia.

Per questo le donne, sembra paradossale ma non lo è, devono lottare per un "diritto diseguale", che risponde alle condizioni "diseguali" di discriminazione, di doppio sfruttamento e oppressione delle donne. E questo non solo per l'oggi. 

Nelle lotte rivoluzionarie, nelle guerre popolari, es. durante la guerra popolare in Nepal, le donne maoiste dicevano che per affermare il potere della 'metà del cielo' occorre un “diritto diseguale”: ci battiamo per un potere che realizzi non “l'uguaglianza” ma la “disuguaglianza” e attraverso la disuguaglianza realizzi la vera uguaglianza. Perchè anche il potere del proletariato, socialista dovrà ancora per molto tempo dopo la rivoluzione "torcere per raddrizzare", affermare il diritto diseguale (cioè più diritti alle donne), perchè si affermi una vera liberazione che rompa ogni catena materiale e ideologica. 

(dall'articolo di Silvia Niccolai su Il Manifesto)
"Molti, anche esponenti politici, sostengono che una donna non dovrebbe essere discriminata in quanto madre, come sarebbe accaduto alla signora licenziata da Ikea qualche giorno fa.
È vero, ma dicendo questo non si coglie del tutto la posta in gioco.
Da quarant’anni il diritto antidiscriminatorio, dettato dalla Ue e interpretato dalla Corte di Giustizia, ripete che come genitori donne e uomini sono eguali. Giustissima idea, che però è servita a dire che sono discriminatorie le norme nazionali che assicurano alle donne tutele ulteriori rispetto a quelle strettamente legate al fatto biologico della gravidanza e del parto...
Perciò è stato considerato discriminatorio, nel 2008, che le pubbliche dipendenti italiane potessero andare in pensione prima degli uomini; così come, nel 1988, furono condannate norme francesi che anticipavano l’età pensionabile delle donne in relazione al numero di figli.
Per il diritto europeo, che condiziona quello italiano, nessuna donna può dire «sono stata discriminata in quanto madre» se un uomo nella sua stessa situazione sarebbe stato trattato allo stesso modo.
Se la condizione di genitore è considerata dal datore egualmente irrilevante nei confronti sia dei dipendenti, sia delle dipendenti, non c’è discriminazione...
In questo quadro, una donna licenziata perché si occupa di un figlio disabile...
Elogiatissimo per la sua lotta progressista contro gli stereotipi di genere, il diritto antidiscriminatorio è servito alla Ue a smantellare le legislazioni protettive del lavoro, e a ridurre il campo delle ragioni che un lavoratore può opporre al datore...
Dopo che il divieto di lavoro notturno per le donne fu abolito perché discriminatorio. le condizioni del lavoro notturno sono diventate più gravose per tutti i lavoratori...
la Ue ha demolito la legittimazione di ogni tutela nel lavoro e ha costruito il suo modello ideale: la persona che vive per garantire il soddisfacimento delle esigenze del mercato.
Non parliamo, dunque, di «diritti delle donne»...

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